Io sono qui, tu dove sei?
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Io sono qui, tu dove sei?

Io sono qui, tu dove sei?

Il significato della narrazione di sé rivolta all’adulto che cura
Maria Iole Colombini, Emanuela Schivalocchi

(9° Convegno Nazionale AGIPPsA “Adolescenti e adulti oggi”, Torino ottobre 2010)
Queste riflessioni traggono spunto dall’esperienza emotiva di alcuni preadolescenti tra i 12 e 14 anni, affetti da una patologia cronica, quale il diabete, che si trovano a confrontarsi con gli operatori che li hanno in cura in una situazione un po’ speciale. La scena si svolge in un ‘campo estivo’ della durata di 10 giorni, impostato su un programma dalle finalità educative per la loro salute, dove essi sono affiancati da adulti che rivestono diversi ruoli, come medici, infermieri, educatori, una psicologa. Il programma annuale realizzato dal team del Centro di Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza della U.O. Pediatria dell’Ospedale S. Raffaele di Milano prevede lezioni, verifiche sulle modalità di controllo della malattia da parte dei giovani pazienti, aggiustamenti del piano terapeutico. Il più delle volte per questi ragazzi si tratta della prima esperienza di separazione dalla famiglia.
Ci si chiede se in un contesto simile, al di fuori di un setting psicoterapeutico, l’adulto, oltre a focalizzare l’attenzione sul funzionamento del corpo di un ragazzo, sulla sua malattia e sulle modalità di cura, possa accogliere anche l’espressione più profonda di un sentimento di sé in fase di definizione. Possa cioè dare ascolto e prendere in carico i quesiti emotivamente più significativi di un ragazzo di questa età, tipo: ‘chi sono?’ dove sto andando?’, ’qualcuno mi può indicare il percorso?
Nel corso dell’ultimo campo vengono previsti per i ragazzi spazi/momenti di autonarrazione che favoriscono espressioni sul sentimento di sè, sui vissuti rispetto al proprio corpo, sulla qualità delle relazioni con coetanei ed adulti. Le confessioni dei ragazzi, estemporanei ‘tronisti’ tipo reality da ‘grande fratello’, abbracciano il periodo che si estende dal momento della rottura di uno stato iniziale di equilibrio fisico alla fase di ricerca di un equilibrio alternativo. L’adolescente malato in tale contesto si trova a ristrutturare la narrazione di sé rispetto al suo stato di salute, ponendosi come personaggio centrale, un protagonista che deve fare i conti con un processo alterato di mentalizzazione del corpo, che con l’esordio del diabete è diventato il luogo di un profondo tradimento narcisistico, di un attacco alla continuità del sé indotto dalla malattia, schermo su cui vengono tessute sensazioni ed emozioni profonde. Grazie a questo stimolo a narrare qualcosa di sé, centrato sulle emozioni piuttosto che sul funzionamento del corpo, i ragazzi, dando voce al trauma subito, fanno intravedere la trama emotiva sottostante. Emerge come l’adesione alle prescrizioni degli adulti che li hanno in cura possano diventare un terreno di sperimentazione, mentre essi procedono faticosamente nel loro processo di separazione e individuazione. Si tratta di un terreno pericoloso che li può far scivolare su una illusione di falsa autonomia. Nel loro immaginario gli operatori sanitari rappresentano una barriera rispetto all’ansia di un possibile scompenso, minaccia continuamente attualizzata dall’esistenza stessa di malattia. I medici possono rappresentare un mondo adulto che giudica, rinforzando la dipendenza dei giovani, ledendone l’autostima e lo sviluppo graduale di un’autonomia oppure un mondo che, non facendo leva sulla supremazia dei ruoli, è in grado di rendere i ragazzi liberi di mostrarsi nel proprio modo di essere, di esprimere i propri sentimenti. Atteggiamenti di rigido controllo, di giudizio o di svalorizzazione, in realtà lasciano il giovane paziente solo, con un senso di perdita, mentre atteggiamenti distratti e poco accoglienti fanno perdere un’occasione per confrontarsi con un limite che aiuterebbe il ragazzo, non solo a prendersi cura del corpo con la graduale conquista dell’autodeterminazione, ma a definirsi con maggiore consapevolezza nel percorso di crescita. Per il benessere di questi ragazzi è fondamentale la sensazione di essere nella mente dell’adulto. Con diverse modalità l’adolescente richiede infatti che l’altro, l’adulto curante, sia presente, si lasci anche lui scrutare, mettere alla prova, rispondendo con i propri mezzi, senza sottrarsi ad un confronto reale. Tutto ciò implica un grande carico emotivo per l’adulto, che assume, tramite la presa in carico del funzionamento del corpo, una funzione di contenitore ed il difficile compito di trovare un approccio sintonico rispetto ai bisogni dell’adolescente che gli sta offrendo la parte più profonda di sé

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